Perdere peso

[…] Mi sono guardata allo specchio. Di nuovo. A lungo, improvvisamente. Ho realizzato con certezza improvvisa di essere grassa, come un fulmine che mi ha annientata. In effetti avevo accumulato alcuni chili, anche se tecnicamente nulla di significativo. Però ero grassa. Mi vedevo grassa, mi sentivo grassa. Ero diventata una schifosa obesa, pigra e inetta, che si era lasciata andare. Inguardabile, un maiale. Ho deciso di fare immediatamente una dieta per rimettermi in forma, per riprendere il mio peso-forma. Ho ripreso i rapporti con il mio amico specchio, che ogni volta mi sgridava urlando a squarciagola: ero grassa, ripugnante. Vergognosa. Schifosa.

[…] Ho fatto una ricerca online per capire quante calorie stessi assumendo e quante ne avrei dovute togliere per dimagrire in fretta. Ho iniziato a prendere familiarità con siti che spiegavano nel dettaglio i fabbisogni calorici e che proponevano i metodi dimagranti più disparati. Poi ho rifatto l’abbonamento in palestra. Ma una non mi bastava: per un periodo ho sostenuto tre attività sportive contemporaneamente. Facevo sport tutti i giorni ad elevatissima intensità, anche più di una sessione al giorno, e per la primissima volta nella mia vita ho capito che potevo usare l’attività fisica come metodo per bruciare calorie. E sono corsa in farmacia a cercare “pillole dimagranti”, per fare più in fretta.

[…] Ho letto su internet che per perdere 1 kg alla settimana avrei dovuto consumare al massimo 1000 Kcal al giorno. Non era valutata in alcun modo la quota di consumo energetico, ovviamente la fonte non era né scientifica né professionale, ma mi aveva attirata per le lusinghe che proponeva. Pian piano ho imparato a scandire nella mente ogni caloria, come uno scanner visivo che si faceva sempre più preciso, trattenendo tutto nella memoria: un uovo sodo = 80 kcal, una scatoletta di tonno = 90 kcal, un piatto di pasta = 280 kcal. Ogni giorno sempre più sistematicamente conteggiavo ogni cosa, nel dettaglio più specifico. Lo facevo nella mente a velocità sempre più rapida e in modo sempre più automatico. Sempre più preciso. Sempre più perfetto. Comprese le bibite, i condimenti e le farciture. Ho eliminato in modo progressivo ciò che era di troppo e faceva salire in modo troppo impressionante i miei calcoli. Innanzitutto bibite e dolci, che oggettivamente, anche al di fuori di una dieta dimagrante, non mi sono mai troppo piaciuti. Ma forse qualcuno sì: e ho tolto anche quelli, esisteva solo bianco o nero, perché erano diventati tutti dei mostri ingrassanti. Poi però ha iniziato ad infastidirmi anche il non sapere esattamente il contenuto energetico di ciò che mangiavo e quindi ho gradualmente semplificato l’alimentazione, togliendo tutte le preparazioni complesse, di cui non potevo conoscere grammi ed energia dei singoli ingredienti. Leggevo ogni singola etichetta, compravo gli alimenti sempre e solo sulla base di quelle e memorizzavo ogni tabella. Alla fine, quelle poche volte che mi capitava di mangiare fuori, anche talvolta in pausa pranzo coi colleghi, per semplificare e non “rovinare la giornata” ordinavo un’insalata verde, che condivo a malapena o ancor meglio fingevo di condire. Per il resto mangiavo poco e da sola, spesso in piedi, quel minimo indispensabile per arrivare dove volevo.

[…] Conteggiavo non solo ciò che mangiavo, ma anche ciò che NON mangiavo. Se ad esempio vedevo un biscotto farcito e avrei potuto mangiarlo, ma non faceva parte delle mie previsioni pianificate, non solo non lo mangiavo ma dentro di me mi rallegravo pensando che stavo evitando cento calorie, il che mi avrebbe condotta più in fretta a raggiungere il mio risultato. Nel rapido giro di poche settimane, infatti, ho perso quei chili schifosi che avevo accumulato di troppo, oltre a ritrovare una tonicità muscolare che mi piaceva di nuovo molto. Mi stavo ridefinendo: ora riuscivo di nuovo in qualcosa, ergo VALEVO di nuovo qualcosa.

[…] Un po’ di sicurezza in me riaffiorava. E allora NECESSARIAMENTE rimandavo tutto il resto: prima DOVEVO sistemare il corpo come DOVEVA essere e diventare. Lavoravo in ambienti e con ruoli dove l’aspetto era così importante, ma le altre ragazze erano più magre di me. Io continuavo a dimagrire ed ero scesa circa otto chili al di sotto del peso che inizialmente avevo stabilito come obiettivo, ma ora non bastava più: ed ero già circa quindici chili al di sotto del peso da cui ero partita. Continuavo ad allenarmi e stavo sempre meglio. Mi sentivo sempre meglio. Per sicurezza, però, avevo pensato fosse buona cosa dimagrire ancora un po’: l’obiettivo di peso si riformulava in continuazione, sempre più in basso. Non aveva senso fermarsi, stavo bene. Mi sentivo bene. Mi ritrovavo – o meglio, di questo ero purtroppo convinta. Con la scusa che lavoravo spesso la sera nell’orario della cena, avevo deciso che non mi avrebbe fatto bene mangiare a mezzanotte, né potevo cenare alle diciassette, quindi tante volte la cena saltava del tutto.  

[…] Ricordo ancora che una volta, entrando nella sala del ristorante in cui lavoravo, ho visto sul bancone vuoto un piccolo vassoio di pasticcini e il cuoco mi ha detto a bruciapelo: «Mangiane uno, è il mio compleanno». Un gelo agghiacciante è esploso dentro di me. Sarebbe stata la rovina assoluta. Purtroppo ha insistito e ne ho scelto uno piccolo, il più leggero, minuscolo: il giorno dopo ho dimezzato la colazione. E forse è stato proprio lì, al lavoro, continuando a camminare per cinque ore su e giù dalle scale e saltando la cena, che ho iniziato a sperimentare e riconoscere per la prima volta i morsi della fame. Sentivo una morsa sconosciuta prima di allora che stringeva all’interno dell’addome, e allora resistevo, non mi facevo influenzare da quella sensazione ed anzi ogni volta che la sconfiggevo mi sentivo sempre più vittoriosa e capace. Ero FORTE, in qualcosa che gli altri non erano in grado di fare. Ero SPECIALE, nel controllare l’alimentazione e decidere IO, senza lasciarmi andare come una balena pigra come la maggior parte delle persone, che non sapevano mai dire di no. Stavo benissimo, come non ricordavo da anni. Sorridevo, lavoravo, mi allenavo, ritrovavo me stessa, convinta di ridefinirmi in senso migliore. 

[…] Ancora non sapevo neanche lontanamente che mi stavo infilando negli artigli di un mostro orrendo, che poteva stritolarmi e togliermi la vita, metaforicamente ed anche letteralmente, e non immaginavo quanto avrei dovuto lottare per ritrovare la mia Libertà, anche e soprattutto tanti anni dopo. Neanche sapevo né lontanamente sospettavo di avere un disturbo dell’alimentazione, a dire la verità. Nemmeno il mio ragazzo sospettava nulla, neanche sommariamente, né si accorgeva che anche i pasti condivisi con lui a quei tempi erano per me attentamente pianificati e del tutto calcolati. Forse non ha mai capito del tutto che cosa ho dovuto superare, neanche successivamente, perché purtroppo l’anoressia nervosa sembra ancora agli occhi di molti il capriccio di una persona viziata e non una vera “malattia”. 

[…] Dopo qualche mese il mio peso era ormai quasi dieci chili inferiore al mio peso “biologico” salutare. Ma in fondo sarebbe stato meglio perderne ancora un po’, sarei stata meglio. Un giorno mio fratello ha espresso un solo e spiazzante commento: «Guarda che magra, sei diventata anoressica». So bene, per quanto siamo comunque fortemente legati, che lui esprimeva probabilmente una preoccupazione nei miei confronti, ma io ho recepito l’idea come un complimento. Non ho pensato in quel momento all’”anoressia” in senso letterale, in quanto neanche immaginavo di esserne affetta, stereotipando la sua immagine alle condizioni estreme di persone scheletriche e brutte. Invece io ero bella. Perché ero magra. E quindi andava tutto come DOVEVA. Nel frattempo la taglia dei vestiti era sempre più spesso la S, a dimostrare che stavo bene, che la mia scelta era un successo, che iniziavo a togliere tutto quel lardo che avevo accumulato quando ero diventata l’omino Michelin. Ripensavo ai chili che mi portavo addosso solo l’anno prima e rabbrividivo, mi facevo così ribrezzo che conseguentemente restringevo ancora di più l’alimentazione. Istintivamente. Bastava pensarci e lo stomaco si chiudeva.

[…] Certo mi preoccupava il fatto di non allenarmi più durante le vacanze: camminavo per intere ore al giorno, ma questa non la consideravo attività fisica perché non era ad alta intensità, come ero abituata a casa. In effetti ogni altra estate, prima di quell’anno, avevo ridotto e talvolta anche sospeso temporaneamente e totalmente gli allenamenti dello sport che praticavo, ma ciò non influenzava assolutamente l’alimentazione e non mi faceva sorgere la preoccupazione di iniziare a lievitare come l’impasto della pizza. Quella volta invece sì: poche settimane di sospensione mi preoccupavano e minacciavano come un coltello nella schiena. Il pensiero di ciò che sarebbe accaduto al mio corpo alla sospensione dell’attività fisica mi tormentava. L’unica soluzione fattibile, per cui non avevo altra scelta, era restringere di più l’alimentazione. Quando andavo a pranzo con gli altri studenti dopo le lezioni sceglievo gli alimenti più basici, con preparazioni o quantità per cui potevo stimare al meglio e il più precisamente possibile l’apporto calorico. Nella mia mente rimaneva tutto registrato con attenzione, come un libro contabile. Non aggiungevo nulla di non pianificato mentalmente durante la giornata ed ho scoperto i caffè di Starbucks! Non ne bevevo molti, ma in caso di fame eccessiva ne bevevo uno. Erano buoni e controllavano splendidamente questa fastidiosa fame che ogni tanto si faceva sentire senza che glielo chiedessi. Le cene mi mettevano in seria difficoltà. Però mi ero premunita: prima di partire avevo fatto una piccola scorta di omogenizzati, proprio quelli che si usano per lo svezzamento dei neonati e che si conservano così a lungo e comodamente fuori dal frigo, in caso di dover gestire situazioni in cui non potevo trovare quello che mi serviva. E in effetti, qualche volta, mi è capitato di mangiare un omogenizzato come cena. Non era molto, ma per farmelo bastare dovevo solo consumarlo con molta lentezza, una punta di cucchiaino alla volta. E il giorno dopo passeggiavo con la convinzione di essermi ridefinita nel modo migliore. Di essere tornata io, ma anche MEGLIO. Non erano tanto i commenti che ricevevo, quanto la sensazione di aver ritrovato un controllo corretto, una ricostruzione di me più precisa e definita. Il benessere derivava da questa soddisfazione estrema nella capacità di CONTROLLO ASSOLUTO, dedicato in particolare ed anzi pressoché totalmente all’alimentazione e al peso. Che sembrava finalmente riprendere a scendere. Tutto il resto slittava in secondo piano.

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