La libertà ritrovata

[…] Ho ritrovato il mio peso salutare, quello che in me si mantiene spontaneamente con un’alimentazione salutare ma non forzatamente ridotta. E l’anno dopo sono riuscita a mangiare un dolcetto confezionato senza dover compensare con una riduzione della cena o senza contarne le calorie o semplicemente senza preoccuparmene. Un nuovo inizio è sempre possibile, la Vita ci riserva sempre il meglio – basta che siamo disposti ad impegnarci e ad accogliere con intelligenza, impegno e gratitudine il domani. Nulla ci viene regalato, ma la perseveranza intelligente può solo premiare.

[…] Ho dovuto affrontare una scalata di venti interi e maledetti chili, uno dopo l’altro, spazzando via la fatica della discesa, annullando tutto l’impegno che avevo dedicato nel dimagrimento e chiudendo gli occhi, mandando giù enormi bocconi in senso metaforico e reale, il tutto per ritrovare il mio vero sorriso e in fin dei conti per ritrovare la vera ME. Per sradicare quell’incrostazione dell’anima che la stava risucchiando, come un parassita che si nutriva del mio IO. Per smettere di essere un manichino di plastica, soprattutto emotiva, deprivato della sua stessa anima – anche se quel “peso salutare” fa così tanta paura. Lo rifarei altre cento e anche mille volte, è stata la scelta giusta!

[…] È stata dura accettare questo peso, ma ce l’ho fatta e sono contenta. Davvero. Ora lo so. È il peso che geneticamente va bene per me: è quello che mi fa stare bene, che mi permette di mangiare in modo sano ma flessibile e che non mi crea disturbi, che mi permette di essere felice, che mi permette una pizza con gli amici o un pranzo di Natale senza sensi di colpa lancinanti e distruttivi, che in definitiva mi permette di non incentrarvi il pensiero e di VIVERE. Quello che mi permette di fare finalmente di nuovo tutto lo sport di cui ho voglia e che amo così tanto, anch’esso perché mi rende felice e non perché mi fa bruciare meccanicamente calorie. E adesso so di nuovo di essere forte, di una forza che ho ritrovato a livello fisico e caratteriale, ma che nella mia breve parentesi di anoressia grave si era liquefatta quasi a marcire imputridendo. Volevo essere una farfalla, invece ho (ri)scoperto di essere una leonessa.

[…] Questo per me è il peso con il quale posso dedicarmi alla VITA senza incatenarla al CONTROLLO dell’alimentazione che scandisce ogni pensiero ed ogni intento, come è stato in quella maledetta estate. È il peso con il quale ho ritrovato con l’esperienza il senso profondo della mia reale bellezza, così come quella di tutti, non spalmata su un’idea esteriore di magrezza forzata ma intesa come vera luce di un individuo e della propria meravigliosa e sfavillante unicità. Potrebbero parere aspetti banali, se letti con gli occhi di chi dall’anoressia non è mai stato rapito e soggiogato, si può dire torturato: ma sono invece aspetti vitali e realmente leggeri, liberatori, infiniti, per il cuore di chi una volta l’aveva perso di vista raggrinzito da un disturbo terribile. Per chi ha percorso un tratto della propria strada “senza anima”, come ho spesso sentito dire da altre persone che hanno attraversato la stessa esperienza – potendo condividere la stessa sensazione.

[…] Ora invece posso fermarmi e contemplare il presente, apprezzare il passato e sognare il futuro. Ma soprattutto sono riuscita a trasformare quella ricerca di LEGGEREZZA, che trascina in un dimagrimento fisico che mira a sentirsi lieve e sottile come una piuma, nella ricerca di una LEGGEREZZA esistenziale: che si tramuta in felicità e soprattutto in libertà e gratitudine per ogni singolo giorno, ogni singola conquista, ogni singolo e meraviglioso – in senso dolce, non autocompiacente – aspetto di sé. Compresi i limiti, che già si conoscono e che ora non pesano più vergognosamente, e comprese anche le doti, che prima certamente non erano mai abbastanza.

[…] In fondo una farfalla può vivere poche ore – e quindi non ne vale la pena: io non sono una farfalla, io sono io e la mia Vita è il tesoro più prezioso che posseggo e che ho il dovere di proteggere. Ho superato un’anoressia nervosa lacerante grazie al mio impegno e alla mia determinazione: e quindi so che è possibile, un disturbo alimentare può essere lasciato alle spalle, gettato alle ortiche. Ora sono passati tanti anni da quel lontano esordio, quasi venti: per quanto riguarda la “mia” anoressia nervosa posso dirle che ADESSO DECIDO IO. Decido io di non ascoltare più quella voce, consapevole del fatto che se non la ascolto se ne andrà da dove è venuta. Sconfitta. Non mi interessa quello che propone, il suo giogo dannato l’ho già sperimentato e non ho nessuna intenzione di tornare ad essere una larva senza cuore.

[…] Finalmente so che non è stata una colpa né una scelta. Ho capito che esiste una forte base genetica in chi vive un disturbo dell’alimentazione e che molti fattori che i medici chiamano “ambientali” possono essersi sommati in modo complesso. Con mille e più possibili variabili. Non mi interessa questo, non mi interessa per niente. Ora so che ho vissuto una malattia gravissima e ho trovato dentro di me le risorse per superarla con completezza e per costruire sul cambiamento perfino un grosso e piacevolmente inatteso lavoro di miglioramento di me stessa, di ammorbidimento e addolcimento di tratti rigidi su cui continuavo a sbattere con dolore, rafforzando invece la comprensione, l’empatia e la bontà, assieme alla capacità di ascoltare ed accogliere senza giudicare, di agire in modo disinteressato, di lasciar andare ciò che non conta e di far tesoro con gratitudine dei singoli momenti e dei doni che la Vita ci offre. Ora assaporo ogni istante, ogni attimo, ogni piccola cosa, anche ciò che prima mi sembrava banale, scontato e dovuto. Ogni giorno è un dono meraviglioso e la Vita è un’avventura fantastica, da assaporare con comprensione, accoglienza, ascolto e dolcezza. In cui mai potremo essere perfetti, data l’intrinseca fallacità della natura umana, ma in cui sempre possiamo e dobbiamo scegliere di dare il meglio di noi e soprattutto di rimanere noi stessi. Nella nostra unica e meravigliosa imperfezione.

[…] Quando lo specchio perverso del disturbo prova ancora a lusingarmi, sorrido disinteressata e decido io di guardare l’altro: quello SPECCHIO DIVERSO, che in realtà è quello vero, quello che mi appartiene e che raffigura l’immagine che SONO e che voglio davvero rispecchiare. Sono una di quelle che “ce l’ha fatta” e SCELGO LIBERAMENTE e anche orgogliosamente di continuare a farcela. E sottolineo con mille tratti questa necessità di scelta libera: perché ahimè, nonostante lo strazio e nonostante i danni evidenti posso dichiarare senza ombra di dubbio che una scelta imposta da altri non l’avrei accettata. Mai. Mi avrebbe piuttosto fatto esacerbare l’oblio. La scelta DEVE (sì, in questo caso) essere libera, perché una costrizione può magari determinare un recupero passivo del peso, ma non un superamento di un’anoressia nervosa, per cui il peso soppresso resta la conseguenza e non la causa del disturbo psicologico stesso – anche se poi vi si concatena come coautore del disastro.

[…] Sono capitate certamente anche altre situazioni in cui quel demone ha provato a fare nuovamente capolino. Anche recenti, recentissime. Penso al primo lockdown per il contenimento in Italia dell’emergenza Covid19: in cui già iniziavo a sentire la tentazione di fare attività in casa, di mangiare un po’ meno, di controllare un po’ di più l’alimentazione. Come un meccanismo attivato ancora una volta con uno scatto, improvvisamente, rigidamente. Tanti al posto mio sono ricaduti, anche non più giovani, tanti giovanissimi sono esorditi. L’anoressia nervosa ha trovato in questa vita forzatamente confinata un terreno estremamente fertile – e ne potrei scrivere a lungo dopo enormi riflessioni, ma non lo faccio ora. L’indecisione, il tentennamento, avrebbero sortito esiti diversi, magari subdoli, magari inizialmente “innocui” ed ancor peggio falsamente migliorativi. Ma sarebbero state ancora una volta le porte dell’inferno, ma la mia risposta è determinata ed oltremodo ferma: «No, grazie».

[…] L’ultimo importante appunto che ci tengo ad aggiungere riguarda però la mia difficoltà nella testimonianza di quanto ho trascorso. Ovviamente la mia esistenza comprende molto, molto e moltissimo più che un problema di anoressia nervosa. Tuttavia credo esista ancora troppo insidioso a livello collettivo un sentimento di giudizio, talora misto a compassione, a volte di scherno e categorizzazione ostile, nei confronti di queste ragazze ingrate, capricciose e in cerca di attenzione, che rifiutano il cibo. Perché «una volta, quando non c’era da mangiare, nessuno avrebbe fatto i capricci». Stento allora a confidare apertamente il mio vissuto, come tante altre insieme a me, per il timore atroce di ricevere un’”etichetta” stigmatizzante. Le persone non mi vedrebbero più per chi sono, ma mi inquadrerebbero dietro la maschera di “ex anoressica”, con tutti i potenziali attributi colpevolizzanti e giudicanti che seguono ancora troppo spesso questo appellativo ingiusto. Proprio recentemente un medico ha affermato davanti a me, senza conoscere il mio passato, che “queste ragazze anoressiche hanno sempre una mente un po’ deformata e non tornano mai del tutto normali” – e credo non serva aggiungere altro poiché purtroppo il pregiudizio è diffuso, forse anche per una conoscenza a sua volta stereotipata dei disturbi stessi dell’alimentazione.

[…] I disturbi dell’alimentazione sono ancora grandemente incompresi, malamente trattati, insufficientemente individuati. Inoltre volteggia intorno ad essi una sensazione di disagio mentale, talvolta persino di malattia mentale data la loro categorizzazione diagnostica, di malattia psichiatrica. E quando la lettera scarlatta è cucita, tutto il resto passa in secondo piano. E invece sono e resto pienamente convinta che si tratti in larga parte (con tutte le eccezioni del caso!) di vissuti, di esperienze, di un problema che si può affrontare e non di una malattia incurabile: addirittura ritengo che un suo superamento vincente possa a volte migliorare una persona, rendendola più armoniosa e dolce in questo fantastico viaggio che chiamiamo Vita. Quasi a premiare un percorso intriso di sofferenza profonda, che possiamo però plasmare armoniosamente e progressivamente in piena vittoria.

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